Pensiero breve

Giusto un pensiero, stamattina, che mi è rimasto nella testa.

Ma hai visto come sono grandi, belli, forti, i tralicci dell’alta tensione?

e i cavi che essi sorreggono, quanto sono lunghi, e forti, e pesanti, e da quanto lontano arrivano, e chissà dove vanno, alla fine….

Eppure, senza l’elettricità non servirebbero a niente. E l’elettricità che scorre non la puoi vedere, eppure tralicci e cavi servono solo a lei…

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Come al solito, il “solito caso”.

Eh, la “nostra” scuola gospel (ovvero la PRATO GOSPEL SCHOOL) è un posto davvero strano. Uno ci va per cantare ma… no, no, che avete capito, si canta, si canta tantissimo… è che a volte cantare riserva delle sorprese (stavo per dire inattese. E senno’ che sorprese sono?) che arrivano così, tra capo e collo (e tutti sanno che la zona cervicale è molto delicata), con l’aspetto innocente di una canzone nuova, un blues davvero bello, che ci ha spremuto – e suppongo continuerà per un pezzo a spremerci – energie e fiato.

Per uno come me, che l’inglese è solo un lontano ricordo rimasto indietro di oltre 4 decenni, la musica passa per prima, e solo dopo un po’ anche il testo acquista il suo spessore….si torna a casa, si cerca – se esiste – una traduzione on line – ma si trova solo cose che fanno pena. Tanto vale perdere un po’ di tempo in una traduzione casereccia, e pazienza se alla fine rispetterà maggiormente il senso piuttosto che la lettera del testo….

Pass me not, O gentle Savior,

Pass me not, O gentle Savior,
Hear my humble cry;
While on others Thou art calling,
Do not pass me by.

Savior, Savior,
Hear my humble cry,
While on others Thou are calling,
Do not pass me by.

“Non andare oltre, mite salvatore,

ascolta il mio umile pianto (ma anche grido, preghiera)

mentre anche altri ti stanno invocando

non te ne andare da me.

Salvatore, mio salvatore,

ascolta anche la mia umile preghiera.

Anche se altri ti stanno chiamando

non te ne andare, adesso, da me.”

Davide gridava:

“Pietà di me, o Dio, nel tuo amore,

nel tuo affetto cancella il mio peccato”,

e la donna che soffriva di continue emorragie, nella folla che seguiva Gesù, nella calca, nelle grida, volle toccare il suo vestito, e fu guarita. E anche uno di coloro che condivisero  con Gesù il punto più alto su una spoglia collina, e chiese “Ricordati di me” fu ascoltato, ed ebbe la sua risposta.

Oggi, mercoledì delle ceneri, anche il mio grido si alza, perché ho bisogno di salvezza, di misericordia, e finalmente di pace. Pass me not, gentle savior!


La Fucina

Un Pezzo di Ferro

Si sentiva forte. Forte come non mai. Massiccio, indistruttibile. Era fatto del miglior acciaio, nato nella fiamma dei forni, resistente a tutto….ma cosa faceva adesso? Cos’era quella ruggine che lo copriva come un velo, cos’era quella sprecisione nel taglio delle sue forme? Era un ritaglio, solo un ritaglio, uno scarto, buono solo per far da zavorra, o esser buttato in qualche fornace, ed essere fuso di nuovo.

Le giornate passano, e i mesi, il sole, la pioggia, il gelo e il caldo; a volte lo spostano un poco, per far posto, come fosse davvero un ingombro, e la ruggine già colorava la terra intorno a lui di un rosso che sapeva di tramonto…..


Il Fabbro

Nel deposito di rottami venne un giorno il  vecchio Fabbro. Aveva visto giovani lavorare il ferro, ma avevano troppa fretta, e la fretta  non è un buon  artigiano. Non se vuoi fabbricare una lama.

Aveva perso la sua bottega, il Fabbro, in un disastroso abbandono durato anni, quando sembrava che niente avesse più senso, quando non si trovava di che alimentare la fucina, quando nessuno voleva più sentir parlare di sudore, di fatica, di umiltà. Decise allora di sistemarsi nel deposito di rottami, costruì una tettoia, in qualche modo, e la fucina, e il mantice, e fu pronto.

Serviva una incudine. Pochi vogliono essere “incudine”, uno che sta lì, con la schiena piegata, a prendere martellate….Ma se non si trova una incudine, forse si può trovare un pezzo di ferro, tra i rottami, rottame anche lui, che abbia la pazienza di stare sotto al martello e sotto alla lama….

Un Pezzo di ferro

…vide il vecchio Fabbro avvicinarsi, guardarlo, pesarlo con lo sguardo, stimare le sue forme, e poi pensare a una base che  lo sorreggesse, quel grande ceppo che già era sotto la tettoia della fucina, accanto alla fiamma ardente. Non capì nemmeno cosa stesse succedendo, come mai venisse spostato dal mucchio del ferro inutile, del ferro da zavorra, del metallo da fornace, perché venisse inchiodato al grosso ceppo, fermato definitivamente, fissato. Vide il martello alzarsi, e ricadere, e lo accolse sulle sue spalle, e quando sentì la forza del colpo disse “Accidenti, questo sa davvero usare il martello” , e produsse un suono melodioso, mentre un po’ di ruggine cadeva a terra, e riappariva la sua antica lucentezza.

Il Fabbro

accese la fucina, la alimentò, guardò il carbone sbiancare nelle fiamme. Provò il mantice, e la fiamma brillò ancora di più, e mille faville festose si alzarono verso il cielo, e il fabbro sorrise, sentendo la forza del fuoco davanti a sé. Prese allora una barra di metallo prezioso, di acciaio del migliore delle migliori ferriere del paese, e la mise sulle braci ardenti, finché non fu incandescente, poi l’appoggiò alla sua nuova incudine, alzò il suo martello, e cominciò a battere. Scaldava, batteva, e la barra prendeva forma, e anche l’incudine cominciava a capire, e aiutava il lavoro del Fabbro, ed era come se sapesse come “tenere” il colpo, ora più forte, ora più delicata, e intanto la ruggine cadeva, e l’incudine stessa ad ogni colpo rimaneva segnata, tanto che avresti potuto dire la storia di ogni colpo, la metamorfosi quotidiana, e il dolore dell’incudine (e quale doveva essere, allora, il dolore della lama che veniva forgiata?).

E il lavoro andò avanti. L’incudine, in verità, si meravigliava del lavoro del Fabbro. Si era abituata anche a sentire il dolore,  ed era questo che faceva di lei una incudine adatta alla fabbricazione di una Lama. Perché, alla fine, aveva imparato a capire il lavoro del Fabbro, ad ascoltare il crepitare delle fiamme, lo strisciare del martello, il battere, si era abituato a non vedersi più coperta di ruggine, a vedersi tutta segnata da piccoli incavi, come mille onde nel mare. Come onde scintillanti sotto il sole.

….

Un giorno, il Fabbro terminò il suo lavoro. Oddio, non sarebbe giusto dire in questo modo. Il lavoro del Fabbro non finisce mai, di continuo la lama deve essere aggiustata, corretta, deve ripassare dalla fucina, e sotto al martello e sull’incudine….e la cosa è buffa, ma l’incudine, così come ha conosciuto il martello e il Fabbro, adesso ha imparato a conoscere la Lama, e si preoccupa per lei, e chiede sempre al Fabbro di averne cura, di proteggerla, ma anche di farla combattere, di provarla. Ha imparato ad amare la Lama. Il Fabbro guarda, sorride, e spinge sul mantice.  E’ un lavoro paziente, il suo, un lavoro paziente…

————————————————————————————————————————————————–“Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto. (Lettera agli Ebrei,  4,12-13)

“Teneva nella sua destra sette stelle e dalla bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio, e il suo volto era come il sole quando splende in tutta la sua forza.”  (Apocalisse, 1,16)