Sei tu, che ti danno fastidio i gesti falsi, preparati. Quando vedi un conoscente che si avvicina, e già da 5 metri di distanza comincia ad alzare il braccio sinistro, come se arrivare alla mia spalla dovesse essere una grande fatica, un arduo impegno, un gesto imposto da una volontà ferrea. Un abbraccio programmato, pensato ancora prima di arrivare “a portata”.
Che me ne faccio, pensi, che me ne faccio? Un abbraccio non è una cosa qualunque, un gesto di circostanza. Non riesco a viverlo così, non ce la faccio. Così come mi addolora un abbraccio respinto, un abbraccioo che vorrei dare, ma non posso, e magari con un gesto così semplice vorrei dire molto più di quello che riescono a dire le parole. Un abbraccio è bellissimo.
Proprio per questo a me occorre tempo, forse è che sto invecchiando, o chissà cosa, non lo so. Sto diventando riservato, vivo male certi momenti, che ci vuoi fare, così è.
Ma mi commuovo per un abbraccio che vedo. Penso alla forza che si sprigiona in quel momento,, al calore, all’affetto, e a tutto quello che si vuol significare, e non sempre importa dirlo. Perchè è come volersi compenetrare nella vita dell’altro, un far capire che ci sei, così come le tue braccia si stringono alle spalle del tuo amico, della tua amica, così vorresti che i tuoi pensieri prendessero il volo, che il tuo cuore prendesse il volo, per stare sempre con la persona che abbracci.
Ci sono muri che non so abbattere, e sebbene mi facciano soffrire, me li devo tenere.
La mia lezione – gratuita – l’ho ricevuta una notte di metà novembre.
Una nuova conoscenza, la terza volta che ci vediamo e alla fine parliamo delle cose che riteniamo importanti, ci lasciamo un po’ coinvolgere dalle parole, forse diciamo di più di quello che avremmo voluto, di quello che avremmo mai immaginato di dire. Dieci minuti di parole in libertà, e poi tempo di salutarci.
“Buonanotte, ci vediamo” “Buonanotte”. Mi avvio verso la mia auto, ho fatto pochi passi, sento chiamare il mio nome, torno indietro. “Dimmi, cosa c’è?” “Ti volevo abbracciare”.
Meraviglia, in quel momento, ma ho capito. Non sempre i miei tempi sono i tempi giusti. A volte bisogna fidarsi, e non dare niente per scontato. E mi domando: a chi mi ha abbracciato, quella sera, quanto coraggio è servito?
E’ venuto poi il tempo di spiegare, o di cercare di spiegare, perchè non è semplice. Ancora oggi siamo un po’ stupiti.
Per quanto mi riguarda, per una volta le regole si sono rovesciate. Pensavo che un abbracio fosse come una certificazione di un dato accertato, di un’amicizia consolidata. Stavolta, invece, è stata una porta che si è aperta, un’amicizia che è nata.
Una cosa preziosa.